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Pubblicati sul periodico _ In Comune _ della Città di Capo d'Orlando

Pag. 2                                                     IN COMUNE                           12 Febbraio 1998

“A MARCAUDO, TORRENTE, SORGENTE, E SENTIERI: “BENI” DA TUTELARE”

 Dallo stradario comunale rileviamo nella frazione di Scafa una strada denominata “MARCAUDO”, lunga due chilometri e cinquecento metri e larga un metro e cinquanta centimetri, che parte dalla ex strada nazionale PA-ME n. 113, nei pressi dell’imbocco della galleria ferroviaria ed attraversa tutta la località Marcaudo e si allaccia alla “Reggia Trazzera Capo d’Orlando-Livari-Naso”.

 Il ripristino e la manutenzione di questa strada pubblica, dice il responsabile del settore ambiente, Nino Papiro del “Kiwanis Club International” di Capo d’Orlando, consentirebbe di rivalutare l’ambiente paesaggistico-floristico e la riscoperta di altri “beni culturali ed ambientali”, come il Torrente Marcaudo, chiamato anche Spezzaquartare, e tutte le storie vere e fantastiche che i “vecchi” del luogo raccontano.

 Nel “Vallone Marcaudo” sono ancora presenti e da riscoprire:

a)     i percorsi mare-monte con Naso, sommersi dalla tipica vegetazione mediteranea, le “orne” con le “ciappe”, dove in tempi non remoti usavano lavare i panni;

 le antiche grotte, posizionate in alto sopra gli argini del torrente e raggiungibili dai vecchi sentieri, che al tempo della guerra vennero usati, dai naturali, durante i bombardamenti come rifuggi;

c)   l’omonina sorgente, che oggi, disperde e confonde le acque nel torrente, attraverso il vecchio lavatoio della prima metà del 1800.

 Inoltre, questa parte del territorio comunale, sembra essere una miniera da dove si può estrarre, tra memoria, storia e mito, l’essenziale per la ricostruzione di tradizioni legate alle origini dei luoghi e dei suoi abitanti.

 Si dice che anche Casimiro Piccolo abbia tratto ispirazione dalle “storie irreali”, dai “racconti” e dai “detti” dei naturali del luogo, su la “Grotta del Mercadante”  e  dall’omonimo  “Scoglio”  che era usato come molo d’imbarco, per immaginare i “folletti” e/o “gnomi” dei suoi acquerelli.

 Uno dei “detti” recita così: “cu si marita e non si penti pigghia a truvatura o mercadanti”; a truvatura consisteva, in una pentola di terracotta panciuta completa di coperchio, piena di monete d’oro custodita dai “folletti”.

 Questi erano considerati dei “burloni” dalla gente, la quale spesso raccontava, di aver ricevuto delle loro visite di notte, con indicazioni di come e dove entrare in possesso della “truvatura”, ma che si concretizzavano con delle “grosse burle” per chi credulone si metteva alla sua ricerca.

                                                                                                                                                                                                       Arch. Giuseppe Librizzi

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