Premetto
(per chi non lo sapesse):
a) che "Palinodia"
è il titolo di un’opera del poeta greco Stesicoro, nato e vissuto in
Sicilia, con la quale l’autore si rimangiò di sana pianta le accuse
mosse contro Elena, che in un’opera precedente aveva indicata come
responsabile della guerra di Troia;
b) che il sottoscritto
è l’autore dell’epigrafe incisa sulla lapide che, il 4 aprile 1998,
venne posta sulla facciata principale del municipio di Capo d’orlando
"a perenne memoria di Agatirno",città che esistette da queste
parti sino a quando non venne letteralmente rasa al suolo dai
Musulmani,negli ultimi anni della loro conquista della Sicilia;
c) che la lapide
suddetta, in questi giorni, è stata rimossa, per ordine della stessa
Autorità che l’aveva inaugurata unitamente al sottoscritto;
d) che il sottoscritto
sconosce i motivi dell’avvenuta rimozione, e non desidera conoscerli.
Tutto ciò premesso, il sottoscritto, volendo ora
imitare (a modo suo,s’intende) la ben nota "Palinodia al marchese
Gino Capponi" di Giacomo Leopardi, esprime pubblicamente il proprio
rammarico, per aver proposto, al Sindaco pro tempore, la lapide
suddetta, anche come "biglietto da visita" della città di Capo
d’orlando; e, conseguentemente, dichiara di ritrattare l’intero
contenuto della epigrafe da lui dettata, nonché l’intero contenuto del
proprio saggio intitolato “DAL CAPO AGATIRNO AI MONTI NEBRODI AL
VALDEMONE AL CAPO D’ORLANDO”, stampato a cura e spese dello stesso
Comune e diffuso gratuitamente, nel contesto della solenne inaugurazione
della lapide in questione.
Dichiara di ritrattare altresì l’intero contenuto
del proprio saggio intitolato “NEBRODI, VAL DEMONE, AGATIRNO”,
pubblicato nel 1992, e ciò anche se tale saggio ha “vivamente
interessato, per l’originalità e l’acutezza delle vedute in esso
prospettate”, uno storico della statura di Luigi Bernabò—Brea,
come si legge testualmente in una lettera a firma dello stesso,
indirizzata all’allora presidente della sezione di Capo d’orlando
dell’Archeoclub d’Italia, oggi assessore ai beni culturali del Comune
di Capo d’Orlando.
In sostanza, il sottoscritto, volendo continuare il
discorso ad imitazione della ricordata ‘Palinodia” leopardiana,
riconosce di avere errato “assai gran tempo e di gran lunga”,
nell’aver ritenuto e dato per certo, malgrado il contrario parere di
gente munita di titoli accademici che il sottoscritto non possiede (il che
però non è un difetto, se non lo fu e non lo è per quanti, in ogni
tempo,hanno dimostrato di avere una cultura di gran lunga superiore alla
mia ed a quella della gente suddetta), nell’aver ritenuto e dato per
certo:
— che Agatirno
fu la città santa del culto dionisiaco in Sicilia;
— che i Nebrodi
presero il nome dal dio Dioniso o Bacco, detto pure “Nebròdes”,
vale a dire “simile al cerbiatto” , il quale animale era la sua
vittima sacrificale;
— che il VAL
DEMONE prese il nome dallo stesso dio, degradato a demone nei
primi secoli dell’era cristiana, quando la religione dionisiaca era
ancora in vigore, in tutto il territorio che poi, sino al 1818, fu
chiamato ufficialmente VAL DEMONE ;
— che i
Normanni cancellarono la memoria storica dello stesso territorio,
confezionando a tal fine carte false (come la cosiddetta “Cronaca di Monemvasia”, con la quale hanno fatto credere,sia al colto che
all’inclita — fino ai nostri giorni! — che il VAL DEMONE
abbia preso il nome da un’antica città chiamata “Demenna”: mai
esistita,né in Sicilia né altrove);
— che i Romani,
a motivo della religione dionisiaca professata da tutta la popolazione di Agatirno,
deportarono 4.000 persone residenti nella stessa città: in proposito, il
sottoscritto si dichiara pronto a sottoscrivere la tesi liviana secondo
cui la deportazione sarebbe avvenuta perché tutta gente dissoluta
e di malaffare ma, per poter sottoscrivere tale tesi, da lui
precedentemente dichiarata calunniosa nei confronti dei lontani
progenitori degli attuali cittadini di Capo d’Orlando, il sottoscritto
dovrebbe — quanto meno — rinunciare alla cittadinanza orlandina, cosa
che — a questo punto — egli farebbe ben volentieri, se gli venisse
consentita: e questo posso giurarlo davanti a Dio’.