Agatodèmone
(1)
Agatodèmone era un
mostro, ma non un “mostro normale”, vale a dire mostruoso, brutto, cattivo e
feroce.
No, egli non era nulla
di tutto questo.
Aveva il corpo di un
grosso serpente e la faccia di un giovane, niente affatto brutta.
Avendo una faccia
umana, aveva pure una bocca, una lingua e un cervello.
Dunque poteva parlare.
Sfortunatamente però
nessuno lo ha mai sentito parlare, né lo ha mai visto perché egli non è mai
esistito.
Esisteva solo nella
fantasia degli antichi greci e, forse, in quella dei nostri antenati di
Agatirno.
Gli antichi, certe
volte, lo raffiguravano così come lo abbiamo appena descritto
(in forma di serpente, con testa umana) e credevano fosse uno degli
dei: il dio della vite e del vino e, per ciò, protettore dei vignaioli.
Lo
chiamavano
Dioniso
o
Nébride
o
Nebròdes.
I Romani, però,
lo chiamavano Bacco.
Dicevano che
fosse figlio di una donna chiamata Semele e di Giove, che era il padre di
tutti gli dei e di tutti gli uomini.
Quando aveva 14/15
anni, scoprì che con il frutto della vite si poteva fare il vino.
Allora si mise a
girare per la Grecia, insegnando agli uomini la viticoltura.
Una volta in
Grecia ci fu una brutta epidemia di peste e, siccome a quei tempi non
c’erano farmaci efficaci, invocarono Dioniso.
D’allora in poi,
i sopravvissuti alla peste si ritennero salvati da Dioniso.
Chiamarono il
dio del vino “Agatodèmone”, che in greco significa “buon
genio” e, da quel momento, là
dove si mangiava e si beveva in compagnia, brindarono in suo onore.
Gli antichi greci
immaginavano che il demone, cioè il “buon genio”, fosse uno spirito buono,
al quale era stato dato il compito di seguire il destino di ognuno, fin
dalla nascita.
Il compito del
demone, immaginato dai Greci, assomigliava un pochino a quello dell’Angelo
custode, dei cattolici di oggi.
Chissà se “Agatirno”,
il nome che anticamente aveva Capo d’Orlando, non derivi proprio da “Agatodemone”?
Agli storici l’ardua risposta.